Il palazzo Racani (poi Brancaleoni, Vari, Arroni) che domina la via dell’Arringo conserva ancora larghi brani della decorazione a graffito che si estendeva a tutta la facciata (fig. 3). Il grafico che qui pubblichiamo propone una ricostruzione della iconografia della facciata e tenta di riprodurre anche se sinteticamente I’immagine di un «intero» purtroppo perduto (fig. 4). Alla architettura reale si sovrappone una architettura illusiva in cui si inseriscono figure isolate e scene. L’iconografia della facciata 2, cosi come é oggi ricostruibile, non sembra implicare alcun riferimento al nome dei proprietari o contenere allusioni specifiche alla famiglia ma attraverso figurazioni delle Virtù ed episodi tratti dalla mitologia e dalla storia romana semplicemente celebrare quelle qualità morali cui la famiglia aspirava.
Piano terreno: a partire dal basso, in linea con le finestre arcuate, finte aperture rettangolari in prospettiva schermate da vetrate con motivo a embrice e a losanga (in queste parti col graffito era usata terra rossa di cui restano tracce); ai lati del portale pilastri decorati da girali; in corrispondenza dell’architrave del portale doppia greca; fregio con putti e scene storiche e mitologiche: Storia di Psiche, scena non identificata con quattro personaggi di cui uno seduto in trono, Ercole che uccide il leone Nemeo (?), Sansone prigioniero (?), Apollo e Dafne, suicidio di Lucrezia, Fetonte e Elio addormentato, la Continenza di Scipione. Il fregio continuava con altre cinque scene accompagnate da putti, oggi completamente perdute, e il cui soggetto non può essere ricostruito sulla base di quello che si riesce a leggere in una fotografia eseguita verso il principio del secolo.
Primo piano: gli spazi rettangolari tra le finestre erano inquadrati da cornici e decorati con scene e figure isolate tutte perdute eccetto un frammento della figura tra la sesta e la settima finestra. Grazie alla descrizione del Cavalcaselle e a quanto di essa ancora si scorge nella vecchia fotografia è possibile soltanto aggiungere che questa figura femminile si volgeva verso un tripode col fuoco. La vecchia fotografia consente inoltre di decifrare nel rettangolo fra la quarta e la quinta finestra una scena di battaglia e in quello successivo una figura isolata di uomo a cavallo volta verso sinistra, forse in relazione iconografica con la scena precedente.
Il fregio sovrastante era composto di due fasce: una, immediatamente al di sopra degli architravi delle finestre, scompartita in numerosi riquadri oggi quasi completamente perduta; l’altra fascia si identifica con il fregio maggiore, il meglio conservato dell’intera facciata, inoltre documentato per intero da un disegno ottocentesco (Spoleto, Pinacoteca Comunale). Il soggetto è Nettuno con la sua corte di nereidi, tritoni e mostri marini.
Secondo piano: alle finestre reali si alternavano finte aperture probabilmente di forma non omogenea, quella fra la sesta e la settima finestra mostra nella vecchia fotografia l’architrave intaccato al centro da un arco e sormontato da un timpano. Al di sopra delle finestre si sviluppava un alto fregio in cui si alternavano parti decorate a grandi girali ed altre con figure di divinità marine; questo fregio è oggi completamente perduto se si eccettuano frammenti del disegno dei girali inciso sull’intonaco all’estrema destra.
Terzo piano: fra la prima e la seconda finestra la Giustizia entro una nicchia in prospettiva di cui il paramento in mattoni è reso in terra rossa; nel due intervalli di facciata ai lati della loggia una cariatide e un telamone; tra le ultime due finestre la Moderazione (?) anch’essa entro una nicchia di mattoni rossi.
Di queste figure, ancora leggibili nella vecchia fotografia, restano oggi poche tracce. La decorazione si concludeva in alto con un motivo a balaustra composta di pilastrini e colonnine sagomate, che si innestava alla monumentale gronda in legno intagliato dorato e policromato decorata con rosoni e i segni zodiacali che fu alienata nel 1850 circa.
Il pittore che esegui la decorazione a graffito mostra evidenti riflessi della cultura artistica romana, non soltanto raffaellesca, del terzo decennio del Cinquecento.
Egli va probabilmente identificato, come ho proposto in un recente studio, con Giovanni da Spoleto.
G. Sapori, Per un catalogo delle facciate graffite in Umbria: Spoleto, in “Spoletium” n. 24 (XXI, 1979), pp. 65-66-67.
Il lato destro della via è dominato dalla quinta grigia del palazzo Ràcani (poi Arroni, oggi dell’Universita di Perugia). E un’opera in cui la nitida distribuzione delle membrature architettoniche si accorda con la larga partitura degli ornati a graffito, purtroppo in parte perduti, per creare un insieme di raffinata compostezza: si noti specialmente come il ritmo rigoroso stabilito dal succedersi regolare delle finestre — di bellissimo disegno rinascimentale — si animi all improvviso del motivo della lunga loggia nel terzo ordine, privo oggi della monumentale gronda intagliata (alienata circa il 1850).
L’insigne edificio fu costruito, certo entro il primo quarto del Cinquecento, dalla famiglia Ràcani, una delle più illustri fra le antiche famiglie popolari di Spoleto; sembra anzi che l’iniziativa spetti ad un Bartolomeo Ràcani, che in quel torno di tempo assolveva importanti incarichi per conto del Comune. In séguito, il palazzo appartenne ad altre illustri famiglie della
città: in epoca imprecisata, ma probabilmente nel sec. XVII, passo ai Brancaleoni, e, all’estinzione di questi (1725), ai Vari; nella seconda meta del Settecento divenne proprietà degli Arroni.
Il palazzo è stato recentemente acquistato dall’Università degli Studi di Perugia per destinarlo a sede del Centro Italiano di Studi sull’Alto Medioevo, finora ospitato a Palazzo Ancaiani. Un acquisto che è andato ad arricchire la prestigiosa collezione dell’Ateneo perugino che conta importanti edifici in diverse città umbre […].
Un bel portale, fiancheggiato da pilastri corinzi e ornato di eleganti rilievi, si apre nel piano terra. La decorazione della facciata a graffito procede cosi. Piano terreno, il più danneggiato: fra le finestre, finte aperture in prospettiva protette da griglie; ornato con doppia greca; fregio sotto il marcapiano, in parte perduto: amorini si avvinghiano ad una finta balaustra, ripartita da pilastrini e da transenne istoriate con scene perdute o mal conservate, che forse rappresentavano gli amori degli dei (e infatti nella quinta scena da sinistra si riconosce il mito di Apollo e Dafne). Primo piano: gli spazi fra le finestre erano ornati di grandi figure isolate, tutte perdute tranne quella fra le ultime due finestre di destra, della quale restano tracce; grande fregio sotto un marcapiano, il più importante e, relativamente, il più conservato: con l’aiuto di una copia ottocentesca (presso la Pinacoteca) si può stabilire che il soggetto era Posidone, dio del mare, seduto sul cocchio, raffigurato al centro, con la sua affollata corte di ninfe, tritoni, mostri marini, etc., variamente snodantesi lungo la fascia. Secondo piano: dei graffiti non resta che qualche piccola traccia, indecifrabile. Terzo piano: gli spazi lasciati liberi dalle finestre erano tutti decorati a grandi figure; la meglio conservata è una bella cariatide fra la seconda finestra da sinistra e l’inizio della loggia; nel muro sovrastante è finta una elegante balaustra. I graffiti, già di per sé soggetti a rapido deperimento, furono anche più esposti ai danni delle intemperie in séguito alla rimozione della antica gronda; nel 1889 furono restaurati a cura dello Stato da G. Moscatelli. Nel 1977, a cura dell’ente proprietario, è stata ricostruita una gronda di sporgenza pari a quella originale; è tuttora in corso un intervento generale di restauro, realizzato dalla Cooperativa Beni Culturali in collaborazione con il Corso regionale di restauro e d intesa con la Soprintendenza, per il consolidamento e la pulitura degli intonaci graffiti. Resta da definire il restauro degli elementi architettonici.
Nell’interno è soprattutto notevole il bel cortile, un angusto spazio reso prezioso dalle porte in pietra architravate o ad arco, ornate del motivo a punta di diamante, dalle ampie bifore e trifore divise da colonnine corinzie (nel lato dove si apre la scala e in quello sopra il ninfeo, alcune purtroppo murate) e specialmente dal fantasioso ninfeo che occupa la parete di fondo. La vasca è fiancheggiata da due piccoli obelischi tronchi, ornati di stucchi decorativi e poggianti su un alta base, che finge una roccia, arricchita anch’essa di stucchi (i due cunei di ferro sporgenti dagli obelischi sostenevano certamente due elementi terminali, oggi scomparsi); la profonda nicchia sopra la vasca accoglie tre grandi figure in stucco, al centro un Artemide Efesia e ai lati due divinità, una maschile l’altra femminile, alludenti forse, come la statua principale, alla fecondità e all’abbondanza; la lunetta ha forma di fantasiosa conchiglia, con le valve di stucco ocra e verde disseminate di piccole autentiche conchiglie; l’arco e l’archivolto sovrastanti sono decorati di riquadrature di stucco, racchiudenti affreschi quasi tutti non più leggibili. Ai lati dell’arco d’ingresso sono murati gli stemmi della famiglia Brancaleoni e della famiglia Lauri (?) apposti evidentemente quando un Brancaleoni, consorte di una Lauri, prese possesso del palazzo.
Gli appartamenti sono stati quasi completamente rinnovati a partire dal sec. XVIII; degli anni in cui nacque l’edificio restano pero alcuni elementi che attestano che i suoi più antichi proprietari furono i Racani: in uno stanzino del secondo piano, affacciato sul cortile, un bel fregio riferibile con certezza al Cinquecento ha figure di putti cavalcanti leoni, sfingi etc. fra i quali spiccano gli stemmi dei Racani, che ritroviamo anche nel piano superiore in alcune delle tavolette dipinte appartenenti ad un soffitto, eseguito anch’esso nei primi decenni del Cinquecento.
Le fonti antiche tacciono completamente sugli artisti cui si devono l’architettura e la decorazione del nobile edificio. Se ci si affida all osservazione stilistica, è necessario distinguere il problema dell’attribuzione dell’architettura della facciata e del cortile da quello relativo ai graffiti e al ninfeo. Per la parte architettonica, non è dubbio che la presenza a Spoleto, negli anni a cavallo fra il sec. XV e il XVI, di artisti come Ambrogio Barocci e Pippo di Antonio da Firenze, nei quali coesistevano elementi lombardi, toscani e lauraneschi, abbia avuto un peso determinante nella formazione in loco di una cultura permeata di spiriti schiettamente rinascimentali, cui anche il palazzo Racani appartiene: un confronto fra opere di quegli scalpellini-architetti e i rilievi del portale (o quelli della fronte d’altare della cappella domestica e di un camino già nel palazzo, oggi rispettivamente nella cappella Antonelli al cimitero e nel Museo Civico) è in questo senso illuminante. Per quanto riguarda i graffiti e il ninfeo, che denunciano entrambi nel committente un gusto modellato su opere romane contemporanee, essi debbono entrambi porsi in un momento successivo all’esecuzione delle architetture, sempre pero non oltre il primo quarto del Cinquecento: delle due contrastanti attribuzioni tradizionali dei graffiti a Jacopo Siciliano e a Giulio Romano, la prima deve cadere perché le opere note di Jacopo dimostrano che egli non fu mai cosi padrone della cultura protomanieristica romana come l’autore dei graffiti; la seconda merita invece maggiore attenzione e considerazione di quanto fino ad oggi non si sia fatto, e va estesa — sempre in senso orientativo e comprensivo di altri apporti romani — all’affascinante ninfeo, cosi vicino al gusto lambiccato e intellettualistico della ‘grotta’ mantovana al Palazzo del Te.
Durante la demolizione (1978) di brani di intonaco posticcio della facciata in corrispondenza del piano terreno sono apparsi elementi frammentari appartenenti agli edifici che precedettero la costruzione del palazzo Racani. Poiché il loro carattere è sicuramente tardomedievale, come quello di altri analoghi elementi riemersi nel 1952 sul lato opposto — quando l’integrità della via dell’Arringo fu gravemente diminuita dalla demolizione di un braccio del Palazzo Vescovile —, e poiché manca ogni traccia, sui due lati, di più antiche componenti, se ne può ricavare una conferma dell’epoca relativamente tarda (sec. XIII-XIV) del taglio di via dell’Arringo.
L. GENTILI, L.GIACCHE’, B.RAGNI, B.TOSCANO, L’Umbria, Manuali per il territorio, 2, Spoleto, Roma, 1978, pp. 316-319
Nel 1967 il prof. Giuseppe Ermini, fondatore e Presidente del Centro Italiano di studi sull’alto medioevo, nonché Rettore dell’Università di Perugia, acquisì il Palazzo dalla famiglia Anderson Arroni.
Nel corso degli anni Palazzo Arroni è stato oggetto di molti interventi di consolidamento strutturale e di restauro alle parti di pregio dell’edificio (affreschi, soffitti lignei e ninfeo).
L’intervento più importante ha riguardato la facciata dell’edificio che insiste su via dell’Arringo e che ne fa uno degli edifici storici più singolarmente belli della città. Nel 1997 il CISAM infatti ha partecipato, insieme a partner italiani e stranieri, a un bando europeo denominato “Progetto Raffaello”: ne costituiva l’oggetto il restauro di facciate di palazzi seicenteschi decorati a sgraffito. Grazie al finanziamento ottenuto, dunque, il Centro spoletino ha potuto dare l’avvio a un minuzioso intervento di restauro che ha riguardato la facciata e lo sporto di gronda.
Di questo complesso e delicato intervento è disponibile documentazione gratuita in due modalità:
1 – Tramite il canale Youtube della Fondazione CISAM
2 – Download del volume Le facciate a sgraffito in Europa e il restauro della facciata del palazzo Racani-Arroni in Spoleto. Atti della giornata di studio (Spoleto, 23 settembre 2000), Spoleto: CISAM, 2000, pp. XII-66, tavv. f.t. 102 .